Autore: Joos Roberto 

Introduzione: Covaz Roberto 

Collana: Fuori collana 

Pagine: 275 

Sono ancora gli anni dell’Austria felix quando, intorno al 1870, ha inizio la saga degli Jost, una famiglia che, ricca di aspirazioni, dal Tirolo scende a Gorizia, paradigma di vivace modernità, di fermenti economici e culturali, città di progetti e opportunità: nella “Nizza austriaca” gli Jost creeranno, in breve tempo, un piccolo impero alberghiero. 

Nei sessant’anni abbracciati dal racconto, le vicende della famiglia si sviluppano parallele ai grandi eventi che trasformeranno questo angolo d’Europa fino agli anni del fascismo.

I traumi del passaggio epocale segneranno la vita degli Jost: il piccolo impero frutto delle loro aspirazioni si sgretolerà, i rapporti familiari e affettivi si deterioreranno, il muro dell’incomunicabilità si ergerà tra le due generazioni ma anche tra sposi e fratelli, l’eros gioioso, giocoso, talora “peccaminoso” che tanta parte ha nella loro educazione sentimentale, si trasfigurerà gradualmente nell’altra sua faccia, thanatos.

Narrativamente tutto ciò – come sottolinea Roberto Covaz nella sua bella prefazione a questa nuova edizione del libro – si esplicita nella valenza più intima del racconto, ossia la coralità tragica a cui contribuisce ogni singola voce umana, ogni sentimento del tempo, ogni elemento dell’ambiente e del paesaggio.

Tempo e ambiente sono la cornice di questo coro e i forti caratterizza tori del romanzo: la narrazione in qualche modo “circolare” prefigura il motivo di un ritorno, che sul piano psicologico è ritorno allo stallo, alla staticità che Adolf, il protagonista, combatte venamente con le sue corse in moto, fino alla sua fuga estrema verso il Vuoto.

I grandi spazi tirolesi intorno a Taufers assomigliano al Vuoto dell’Hotel Union di Gorizia, rifugio-prigione di Serafin, il capostipite, durante il doloroso assedio della città negli anni della guerra; ambienti familiari, protettivi ma ad un tempo minacciosi, opprimenti, luoghi dove si vorrebbe mettere radici salde, mentre si è tormentati dall’incessante desiderio di cambiare, dall’irrequieta brama di possedere, di stringere qualcosa fra le mani. 

A questa irrequietezza romantica il secolo che nasce sulle rovine del lungo sogno asburgico non è in grado di offrire certezze e consolazioni, né l’illusione che il salto nel vuoto potrà essere fermato da una mano provvidenziale come un pagano rito di rigenerazione. Il salto di Adolf è un Vuoto definitivo.

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